White christian male – Full lateral novelty music

Pubblicato da Alessandro Violante il marzo 20, 2015

white-christian-male-full-lateral-novelty-musicDetroit è nota come la città dei motori, quella che diede i natali alla techno così come la conosciamo oggi, quella che fa capo a Derrick May, e anche questo giovanissimo talento diciannovenne scoperto da quelli della Tacuara records, ovvero i Vólkova, dimostra la sua filiazione con quel movimento (ma non solo con quello). White christian male rappresenta un ritorno al mito dell’underground primordiale in cui le informazioni sull’artista sono scarse e il monicker è volutamente generalizzabile, nonchè provocatorio (un maschio bianco cristiano come tanti, ma anche un cristiano nella sua accezione provocatoria e negativa), e in cui il medium prescelto e la cassetta, oltre alla oggi ormai indispensabile versione digitale.

Full lateral novelty music è il titolo del suo debut album, contenente nove brani in cui quello che salta subito all’orecchio è il già sapiente mix delle molteplici influenze, dei molteplici approcci messi in mostra da questo musicista statunitense. E’ indubbio che, nonostante la giovanissima età, il nostro abbia già un enorme background musicale alle spalle e, soprattutto, tanta fantasia e voglia di non rimanere ancorato ad un particolare stile, di entrare e uscire continuamente dai generi e di mixarli per ottenere un proprio trademark. L’idea è buona e, infatti, il suo è uno dei prodotti più anticonvenzionali di questo 2015, almeno fino a questo momento.

Il sound del postmodernismo è una mescolanza di più influenze e stili, di più mondi, delle civiltà più disparate. New wave, post-industrial, electro, minimal? Sì, forse nessuno sbaglierebbe nel tirare fuori uno di questi nomi dal cilindro, ma probabilmente non sarebbe sufficiente. La domanda che il nostro si pone è: come posso uscire dal già definito? Straniando proponendo nove brani tra loro particolarmente diversi che, qui e lì, ripescano questa o quella influenza musicale, questo o quel gruppo. Il cantato di ispirazione new wave è comunque sempre presente, ma il songwriting tradisce quel genere, articolato, sporco, figlio dei primi vagiti industriali, ma soprattutto figlio dell’osservazione di ciò che gli sta intorno: i motori, appunto, le macchine di una delle città più discusse degli Stati Uniti.

La descrizione data dalla label parla abbastanza chiaramente: chi mette su questo album potrà ritrovarvi un po’ dei Clan of xymox ma anche dei Throbbing gristle così come dei Test dept., ai quali si potrebbe benissimo aggiungere Dive e la già citata detroit techno nelle innumerevoli creature che ha generato. Musica organizzata su più strati, come dicevamo: la opener Existential stab wound è un brano che si evolve piano, la cui ritmica, perlomeno inizialmente, recupera, così come il postmodernismo insegna, l’antico, la cultura prima della cultura, la danza tribale, quella stessa danza, quello stesso interesse che un gruppo come gli A-split second aveva manifestato in un disco fondamentale come Stained impressions, solo che qui il ruggito e la pesantezza della macchina dilaniano, inscatolano questa primordialità nella catena di montaggio industriale su cui sormonta la bandiera, ben issata, della new wave, il che ne fa un brano vero e proprio. Dopo questa cavalcata leggiadra e metallica si va avanti con Never guilty. Qui si perde il retaggio primordiale e si gioca su ritmiche minimaliste molto moderne, tele di ragno su cui si innesta una melodia sintetica e la voce distante ma chiara che, anche stavolta, ha il sapore della new wave.

Crazy dreams accelera le battute facendo sua una ritmica EBM pura e cruda, scandita dal veloce ripetersi del clangore metallico e, allo stesso tempo, da un giro melodico anche qui molto wave. Il musicista non intende attenersi a schemi particolari e trasferisce tutta l’energia del punk in un brano che non ha nulla nè dell’EBM più soft e da classifica che della wave arrangiata. Qui c’è la volontà di esagerare e di vedere fin dove si può arrivare, e si arriva lontanoSegue un altro ottimo brano sempre giocato su ritmiche primitive e tarantolate e innesti wave, ma le sorprese maggiori arrivano con gli episodi successivi: Hide yourself behind the window è una techno industrial primordiale, direttamente proveniente da una fabbrica della Chrysler, su cui il cantato, effettato, è ancor più freddo, distante e metallico. E’ un chiaro e geniale esempio di come si può creare una vera e propria canzone su una ritmica techno sporca, retro e claustrofobica. Molten dark riesce a fare ancora meglio partendo dalla radice del brano precedente, col suo cantato new wave e la ritmica dura scandita da una cassa più pesante che mai, un pezzo che fa ballare e che allo stesso tempo riesce a distruggere un club con la sua crudezza, i cui elementi melodici rimandano da un lato alla detroit techno e, dall’altro alle trovate dei primi Skinny puppy, gruppo che qui lascia il suo alone, presente ma discreto.

Con Holy lands si cambia ancora scenario per tornare lì dove tutto era cominciato, lì dove gli antichi popoli ballano ritmi tarantolati nella giungla attorno al fuoco, lì dove nasce il ritmo, e lì dove la voce del musicista appare sciamanica. Ci pensa poi la title track a riesumare lo spirito di Dirk ivens e della sua creatura Dive e i brividi scorrono lungo la schiena: ritmica lenta e martellante, voce metallica, distante e confusa, suoni scomposti e sinistri e sottofondo cacofonico: questo brano sembra volerci dare il benvenuto nella fabbrica dell’oblio. Forti sono qui anche gli echi dei primissimi e già citati Throbbing Gristle. La conclusiva Prisoner of war non è affatto da meno, questa più veloce ma sempre scandita da ritmi raggelanti freddi come le presse che idealmente li generano, per formare un brano wave completamente smaterializzato e deumanizzato, in cui la voce distorta è sempre più distante, riverberata e dissonante. Ennesimo colpo di coda, per dirla con gli Aborym, with no human intervention.

Un lavoro esaltante, sperimentale e soprattutto fresco, realizzato da un ragazzo il cui progetto è nuovo di zecca, nato nel 2015 e destinato a rimanere molto a lungo su queste ed altre pagine, su questo e su altri stereo, su queste ed altre orecchie. Da provare.

Label: Tacuara records

Voto: 9, 5