Vogon Poetry – The prefect stories

Pubblicato da Davide Pappalardo il ottobre 7, 2015

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Gli appassionati di fantascienza assoceranno il termine Vogon Poetry al libro Guida galattica per gli autostoppisti di  Douglas Adams, e alla non certo piacevole forma di poesia del popolo alieno Vogon, dedito alla distruzione di interi pianeti, nonché al culto del brutto; in realtà però il termine indica anche la synth pop band che andiamo oggi a trattare, la quale ha già all’attivo un EP, More things to do in zero gravity ed un album, Don’t panic. A distanza di un anno, gli svedesi tornano con The prefect Stories”, lavoro pubblicato per la ScentAir, il quale propone nuovi brani nel loro stile melodico dalle tinte ariose e cosmiche, giocato su suoni retrò e minimali; nulla di rivoluzionario, ma gli amanti dei Kraftwerk, Depeche Mode prima scuola e primi Duran Duran, ed in generale del suono anni ’80 più sintetico ed elegante, avranno pane per i loro denti.

Si parte con i suoni ariosi e minimali di Ready player one, dove concorrono basslines minimali, presto accompagnate da tastiere e cantato melodico dall’inconfondibile gusto tra i già citati Campioni inglesi dell’elettronica da stadio, e la italo disco; il crescendo di synth che esplode in una serie di galoppi cibernetici controllati conferma l’impressione, per un pezzo ben piantato nella decade che forse più ha influenzato la musica moderna – almeno in campo elettronico – e alla quale ancora oggi vengono regalati tributi come questo.

Spit it out si apre con pianoforte e linee ariose, mentre di seguito abbiamo un synth pulsante sul quale una voce in riverbero mostra tutta la sua malinconia con cori serafici in sottofondo; un pezzo sommesso e delicato, il quale si mantiene per buona parte trattenuto e sospeso, assumendo poi a metà un ritmo più incalzante con snare e drum machine mai pesanti o aggressive, mantenendo il loro tocco sognante e ricco di pathos.

Possibilities (Bistromath remix) presenta suoni più da dancefloor, comunque con vocals inconfondibilmente synth pop, le quali si stagliano sull’andamento contratto della strumentazione elettronica, non dimenticando melodie di tastiera delicate; Hyperspace bypass sembra offrire toni più oscuri con i suoi effetti iniziali, ma presto una tastiera così retrò da sembrare campionata da un disco del periodo ci fa capire che le tendenze sono le solite: melodia malinconica e cantato nell’inconfondibile stile neo italo che tanto va di moda in Svezia. Un pastiche piacevole che farà presa sugli amanti del genere; se siete allergici alla corrente retrò che ormai domina il nuovo millennio da più di dieci anni, potete starne alla larga, perché qui il tutto è dominato proprio da essa.

Afraid presenta alcuni effetti più da dance anni ’90, ma il cantato ci riporta sulle solite coordinate, anche se basate su synth galoppanti e pulsioni molto alla Pet shop boys; un episodio dunque da dancefloor, dove poi la drum machine si fa più pulsante e sentita; il modus operandi è ormai chiaro, anche se variato nel disco quel tanto che basta per non annoiare. Virtues ripropone il pianoforte greve con alcuni suoni elettronici, mentre la voce sognante prende spazio, ricordando non poco i lenti cantati alla Martin Gore, con uno stile molto vicino al suo; largo quindi ad un ritornello zuccheroso, il quale ci trasporta nei primi anni della decade già citata varie volte nella nostra analisi, e ai suoi pezzi minimali ed ingenui.

La conclusiva Never too late (Glenn Main remix) richiama I Duran duran con il suo cantato arioso e i suoi suoni suadenti e controllati, con tastiere delicate e il suo lento crescendo; largo poi ad un montante pulsante che invece richiama un po’ i Depeche Mode di Music for the masses; il brano si muove alternando queste coordinate senza grosse sorprese, anche se poi conosce una coda con melodie malinconiche, le quali avanzano tra effetti cosmici e vocals effettate, unendosi a cori serafici.

Concludendo, un lavoro elegante e delicato, giocato su atmosfere malinconiche, a tratti spaziali, e movimenti mutuati da un suono che fa ancora tutt’oggi proseliti; se cercate qualcosa di innovativo o dai brani terribilmente vari e diversi, qui cascate davvero male, c’è una certa uniformità nel suono e nelle strutture che per chi apprezza sa di coerenza e coesione, ma che per altre orecchie può significare tedio. Chiedersi se c’è davvero bisogno di altre band che riprendano suoni e modi copiati mille volte è un gioco pericoloso e alla fine inutile, che è meglio non fare; alla fine quello che conta è il risultato, e se non passeranno certo alla storia della musica, i nostri non offendono neanche, regalando una collezione di tracce adatte all’ascolto rilassato e sognante. Promossi, anche se il sospetto è che in futuro le stesse identiche parole qui spese possano essere usate per qualunque loro uscita; ma chi vivrà vedrà.

Voto  7

Label: ScentAir Records