Psychosomatik – State of oppression

Pubblicato da Alessandro Violante il gennaio 3, 2015

psychosomatik-state-of-oppressionCi sono nomi che, che lo si voglia o meno, è impossibile non tirare in ballo quando si parla di musica electro industrial, anche laddove questo comporti nominarli sempre, se sempre sono presenti in modo più o meno latente. E’ anche il caso di questo duo francese che, per l’appunto, descrive la propria musica come l’insieme di determinati stili e tratti stilistici che, insieme, hanno creato il panorama postindustriale elettronico: Mentallo & the fixerFrontline assembly, Skinny puppy e molti altri sono un riferimento obbligato per chi si affacci sulla scena pensando la propria musica come un crossover di forme musicali: il rock (e il metal), l’elettronica più danceable, etc… per non dimenticarsi del sampling e della voce effettata.

Questo non vuol dire che gli Psychosomatik si presentino al pubblico come l’insieme di parti già create (con una loro carriera ben più che avviata e sviluppata), ma in fondo citare i soliti nomi può essere molto utile a definire una sorta di genere e a far capire più semplicemente cosa ci si debba aspettare da un album. Potremmo definire questo State of oppression, secondo lavoro in studio per Michael Roussel e Frederic Lecieux, come un lavoro che parte dal discorso intrapreso dalle suddette band negli anni ’90, soprattutto dalle prime due. Non è raro, infatti, pensare che alcuni brani siano una sorta di tributo a Leeb e a Fulber, nonostante questi siano costruiti e prodotti davvero bene. Così come nella metà degli anni ’90 le incursioni extradiegetiche facevano parte della pratica di melting pot musicale allora in auge, anche in questo caso i due musicisti francesi utilizzano l’elettronica danceable per creare ritmiche più groovy, consistenti e ballabili, alternate ad episodi in mid tempo riflessivi e dall’approccio più arioso. Qualcuno dirà: “Bene, sono i FLA della metà degli anni ’90”. Gli si risponderà: “La matrice è quella, ma c’è anche una personalità anche perchè, nel frattempo, la musica elettronica si è evoluta”.

Questo vuol dire che un brano come Rescue me, che verrà preso subito come esempio, ha un basso pulsante e una ritmica che negli anni ’90 non era ancora stata compiutamente sviluppata, e qui si presenta al termine del 2014 in maniera sicuramente diversa e più matura rispetto a come avrebbe potuto presentarsi in passato. Vale lo stesso, pur essendo un remix dubstep, per quello di No time to lose ad opera del pluriacclamato Brain leisure, anch’egli francese, grande esponente della vecchia scuola del dark electro. E’ inutile negare, a tal proposito, che, nonostante le critiche mosse a Leeb, Echogenetic abbia fatto scuola e abbia dato il via libera a questo tipo di incontri musicali nell’ambito postindustriale. Si aggiunga, come elemento differenziante, che i nostri hanno avuto alle spalle il fenomeno harsh e le influenze trance, e non esitano mai a metterle bene in mostra in maniera molto intelligente e per nulla pacchiana.

Come dicevamo prima, i francesi sono un duo particolarmente aperto nei confronti della sperimentazione ma sanno anche creare brani d’impatto, diretti, si passi il termine old school, come nell’opener Bullfighter, un brano veloce e diretto, dritto, trancey e caratterizzato da una atmosfera ambient-distopica di chiara ispirazione canadese. Il testo si concentra sull’aspra critica della figura del torero che qui viene disprezzato (non si potrebbe non farlo), dimostrando che il duo è attento anche a tematiche animaliste.

La title track è uno degli episodi più atipici e, allo stesso tempo, più interessanti: si tratta di un brano strumentale caratterizzato da forti influenze trance e, in parte, goa, che rievocano Juno reactor, altro nome molto caro ad un certo modo di fare electro. Anche la conclusiva Sweet flesh è una strumentale, quest’ultima caratterizzata da un’atmosfera più aperta e ariosa, perfetta fotografia dello scenario di guerra subito dopo un sanguinoso conflitto tra uomini e macchine. Non resta che pensare a quale avvenire sia possibile immaginare.

Gli altri brani possono essere catalogati come electro industrial ben realizzato e vario nel songwriting, moderno, avente una ottima produzione non troppo cristallina ma comunque piuttosto chiara, in cui il clima oppressivo e distopico generato dalla musica ben si sposa con le tematiche del duo, a metà tra i problemi psichici e la decadenza umana. Il remix di Phllox per la già citata No time to lose non cambia particolarmente le carte in tavola rispetto all’originale, enfatizzandone la componente techno-ish.

Un altro tratto fondamentale che tende a differenziare il duo dai suo predecessori è l’interesse preponderante verso le trame sintetiche piuttosto che verso le linee vocali. In molti casi, infatti, queste entrano in scena solo in fase di sviluppo avanzato del brano, a voler valorizzare maggiormente l’esperienza musicale rispetto al testo. Questo genera nella mente dell’ascoltatore più o meno ovvii paragoni cinematografici con i protagonisti della cinematografia sci-fi degli anni ’80 e non solo: si pensi ad un film come Terminator, per nominarne uno tra i tanti.

Se State of oppression dei francesi Psychosomatik non punta a cambiare le coordinate del genere, è comunque un ottimo esempio di electro industrial sperimentale e crossover in un periodo in cui la formula electro sta conoscendo una fase di declino. Una proposta più che valida che speriamo venga valorizzata a dovere.

Label: PSK records

Voto: 7, 5