Mentallo & the fixer – Music from the eather

Pubblicato da Alessandro Violante il novembre 28, 2012

mentallo & the fixer - music from the eatherFare attenzione usando questa sostanza. Il viaggio di un uomo, la ricerca di Gary Dassing, superstite del suo progetto ma soprattutto superstite al viaggio, perchè lo ha scritto lui. Perchè è stato lui a partorire gli spazi e i tempi, è stato lui a creare il gioco e le sue regole. Ma questo non è un gioco: come un turbine, come un tempo lontano, una terra lontana, così la nostra mente. La mente di Dassing, ottenebrata dall’uso delle sostanze psicotrope, all’improvviso vede, in un momento, davanti a sè, tutto quello che la musica electro-industrial è stata, la prende, la riplasma, e ci rimanda a scuola. Sembra volerci dire: tutti a ripetizione. Qui non c’è insoddisfazione, d’altronde i tempi cambiano e la musica si evolve, le atmosfere cambiano e così i luoghi di consumo di una musica che affonda le proprie radici in molte decadi fa. A fronte della deriva ballabile, lo sforzo di Dassing è quello di ricreare quel concetto di esplorazione musicale che fa e, in misura maggiore, ha fatto parte di tante realtà come gli Skinny Puppy, i Cabaret Voltaire, Clock DVA, i Front Line Assembly e tanti altri, tanti altri che hanno posto al di sopra di tutto in questa musica la voglia di scoprire. Scoperta ed espressione quindi, senza strizzare l’occhio ad altro. Semplicemente musica, semplicemente poesia. Music from the eather è un disco che sta passando inosservato, è un lavoro distante anni luce dalle tendenze attuali, per prima cosa specifichiamo che non ci sono vocals. Del resto a cosa servono le urla quando una mente può partorire più di due ore di pura poesia sintetica? Nessun cantato, nessuna chitarra, l’impressione è la totale mancanza di fisicità. Perchè la mente umana può elaborare cose impensabili, grandiose, maestose, imponenti, può creare il delirio, e sì, questo è il delirio. E’ delirio di chi scrive musica da tanti anni, di chi è pioniere e che, soprattutto, non si è mai venduto al cambiamento. Sicuramente non esiste una oggettività positiva o negativa in ciò perchè ognuno ha i suoi gusti, ma i suoni, i samples, le tastiere, i ritmi, gli episodi, le atmosfere, questo è incredibile electro-industrial. Questo disco comincia dove finiscono i grandi lavori degli anni ’90, Caustic Grip, VIVIsectVI, Critical Stage, e ovviamente No rest for the wicked, Concrete jungle, così come tanti altri, e riprende le fila. Nessuna violenza, nessuna rabbia da trasmettere, solo un mondo: Dassing vuole spiegarci il suo mondo, la sua mente, il suo viaggio, che è anche l’electro-industrial. Nonostante si siano citati dei grandissimi lavori, l’approccio di Mentallo è molto diverso, qui non c’è la critica sociale dei Puppy nè la critica del futuro dei FLA, nè le urla di Suicide Commando, etc… c’è abbandono a una dimensione aperta, ad uno spazio infinito che viene colmato con la fantasia di un mondo diverso. Quale sia questo mondo potremo scoprirlo ascoltando attentamente questo disco, fino alla nausea, fino a che non ne diventiamo parte. Comincia tutto così, con una introduzione come Disturbing the priest, una atmosfera che viene da lontano e che passa per il primo, piccolo grande capolavoro che è Metaphysical agents. La prima volta sarà normale, sarà così: non capirete nulla, ma non preoccupatevi, siete solo all’inizio. Cascate di samples su strutture indefinite, sospese nel vuoto, Gestalt, tutto sparato così, una cosa dietro l’altra, in un flusso continuo, per circa dieci minuti. Straniamento totale, ci chiediamo cosa questa musica ci voglia dire…Warrior within ci sospende in questa dimensione, ecco la fine del preludio, back to the ’90s, ecco l’electro-industrial nella sua forma più bella, più pura, sognante e indefinita, lenta e incalzante, poi arriva lui, Juno Reactor e mette in pace tutti, la ritmica è quella, Goa sulla quale si erige Prelude to a Plateshift, un episodio fantastico, uno dei migliori, uno dei più ispirati, e dannatamente coinvolgente, ma si tratta sempre di un preludio. Il preludio è quello a Holywar in my head. E questa che segue è una sfuriata impazzita, mastodontica eppure così breve, dirompente e indefinita, alla quale segue Untapped regions, lunga e perfetta, un altro episodio infinitamente puro, legato a quelle origini musicali, summa di un certo modo di pensarla, la musica. E così si continua, sempre avanti, sempre in meglio, tra echi ottantiani di SP, con Wandering off in the dark, sempre più giù fino a First flower, che chiude il primo disco, summa perfetta del genere, gran pezzo di chiusura. Non si fa in tempo a ragionare che arriva il secondo disco, perchè questo è un doppio cd. Ed ecco la sorpresa: se già il precedente side era assolutamente geniale e irripetibile, il successivo è un disco di remix del primo operato dal secondo. La sensazione è simile a quella che prova un fan dei Dream Theater quando in molti brani ritrova i riff di lavori precedenti. E Dassing fa di meglio: prende il primo, perfetto disco e lo mette nel frullatore, così per vedere cosa ne esce. E quello che ne esce non ha parole, non può venire espresso, ed è per questo che non mi soffermerò su delle tracce in particolare. Basti dire che le tracce già eccelse vengono rilette e rese in modo ancora più eccelso, in un modo che dovrete scoprire voi, ascolto dopo ascolto, comprendendo sempre nuovi tasselli, in una esperienza totalizzante lunga più di 120 minuti, astraendovi da tutto quello che vi sta intorno, e ripetendola fino alla nausea, fino a che il sogno diventerà realtà, e allora sarà finita. Ma fino ad allora…E poi c’è un terzo disco. Lavoro epocale.

Voto: ◆◆◆◆◆

Label: Alfa matrix

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