Intervista agli AU+

Pubblicato da Alessandro Violante il febbraio 24, 2015

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Oggi abbiamo l’opportunità di parlare con gli AU+, un duo milanese dedito a musica sperimentale la cui ultima uscita discografica, From Mars to NY, è uscita per la Frequenza Records. Fabio Volpi e Rosarita Crisafi parlano dei concetti chiave che stanno dietro la loro musica e del loro approccio crossover. Lasciamoli parlare.

1) Ciao ragazzi. Parliamo innanzitutto di chi sono gli AU+ e di qual è il significato del vostro nome. Voi siete due persone con due differenti background.

Fare musica mixando generi e modalità diverse è una pratica che è ovviamente sempre esistita, ma accade più di rado che si riesca a creare un “sound”, qualcosa di più, un valore aggiunto, partendo da un’insieme di esperienze e sonorità eterogenee. Per questo abbiamo introdotto riferimenti all’alchimia (Au è il nome dell’oro nella tabella degli elementi), quello che ci interessa è creare dalla fusione dei diversi elementi qualcosa di nuovo, prezioso e inatteso, partendo da materia grezza.

2) Pochi giorni fa è uscito il vostro nuovo lp, From Mars to NY. Come ce lo potete spiegare? Perché proprio Marte e New York? E’ un lavoro senz’altro sperimentale che presenta interessanti collaborazioni.

Riunire in una sala prove un jazzista di enorme esperienza e versatilità, Bruno Marini (Mars) e un bravissimo dj e producer come Nihil Young (NY), ti assicuro che è un vero e proprio viaggio interplanetario!

3) Uno dei tratti distintivi di questa release è il recupero del turntablism, una pratica fortemente legata al mondo dell’Hip Hop, così come la presenza degli strumenti a fiato. Come è nata in voi questa idea?

Quello che dici, prima di nascere come idea musicale, parte come un’esigenza di mettere in collegamento delle personalità con una chiara e forte identità, solo in un secondo momento corrisponde ad una resa sonora. Eravamo tutti interessati ad incrociare le nostre rispettive visioni musicali con altri punti di vista.

auplus-fabio4) Vi ho visti live due volte a Milano, la prima volta all’interno della serata Minimal Milan, che è stata decisamente una ventata di aria fresca. Sebbene non siate catalogabili all’interno di un determinato genere, vi sentite legati, in un certo senso, alle realtà che hanno condiviso il palco con voi quella sera?

Ci sentiamo parte di molte realtà, la mia è quella più incline al lato darkwave e industrial, quella di Rosarita al jazz e all’elettronica nelle sue varie forme, anche se gli ascolti di entrambi vanno ovviamente al di là di questi generi.

5) Quanto la musica cosiddetta fisica, prodotta dagli strumenti a fiato, influenza quella digitale, e viceversa? Nel vostro ultimo lavoro c’è un dialogo costante tra le due parti. Quanto l’una ha da offrire all’altra?

Hai centrato il punto con questa domanda, quello che penso io è che oggi il confine tra questi due mondi non sia così definito come un tempo, anzi, c’è una vasta area in cui si sovrappongono. Ci sono app digitali che riproducono fedelmente synth modulari anni’70 e gruppi “analogici” che suonano metronomicamente imitando i sequencer. Nel nostro caso la presenza dei fiati si muove libera, sospesa sopra una tessitura di bassline e drones sintetizzati, ma la regola dura poco per interrompersi ad esempio nel pezzo “Wild Nights”. In effetti, oltre che delle distinzioni di generi, ci stanchiamo in fretta anche delle nostre modalità interne!

6) Fabio, Pensando alla tua esperienza con Otolab, collettivo milanese di esplorazione nell’ambito della new media art, ti chiedo quali siano i punti di contatto tra la ricerca sperimentale musicale e quella artistica. Mi fai qualche esempio pratico di qualche vostro lavoro emblematico di questo tipo?

All’interno del collettivo Otolab tutto è disposto in un continuum, senza soluzioni di continuità. Ad esempio nella performance “Bleeding” utilizziamo campioni audiovisivi al posto dei semplici “samples” audio. Questo permette in alcune parti un vero e proprio bombardamento retinico e acustico, difficilmente ottenibile con altri mezzi, perlomeno non con lo stesso livello di sincronia.

7) Rosarita, tra le altre cose, tu sei una esperta di musica jazz. Esiste, attualmente, un qualche tipo di incursione da parte della musica elettronica all’interno di questo genere? Se sì, puoi fare qualche esempio?

Il jazz nasce come musica di contaminazione, nonostante il forte legame dei musicisti con la tradizione c’è sempre stato grande spazio per la sperimentazione di nuove sonorità. Fin dagli anni sessanta del secolo scorso molti jazzisti si sono lasciati affascinare dai suoni di sintesi, gli esempi sono tantissimi, non posso fare a meno di citare i nomi di Miles Davis, Herbie Hancock, Sun Ra o l’esperienza dei Soft Machine e della scena di Canterbury. In senso inverso il repertorio del jazz è stato ampiamente utilizzato dai DJ in forma di campioni, tutti abbiamo nelle orecchie il riff di Watermelon Man grazie agli US3! Personalmente sono un’amante del suono del nord e in particolare della scena jazz norvegese che fa capo al Punk Festival, da lì a mio avviso oggi arrivano le contaminazioni tra jazz ed elettronica più interessanti, a ben vedere il concept stesso della manifestazione cancella ogni genere di separazione tra le musiche.

auplus-rosarita8) Qual è la situazione artistico/musicale milanese e, in generale, quella italiana? L’Italia è un paese in cui la vostra “idea” viene compresa e supportata a sufficienza?

Personalmente penso che non abbia più senso parlare di scena italiana o milanese, soprattutto nel momento in cui esci online, a me viene meno la preoccupazione se sarò capito o no, mi preoccupo molto di avere qualcosa da dire, se possibile. Quanto al supporto il fatto stesso che tu abbia dimostrato interesse e grande competenza rispetto alla comprensione della nostra proposta ci fa ben sperare!

9) Ho pensato al vostro ultimo lp come ad un lavoro fortemente influenzato dal cinema. Quali sono i vostri registi preferiti e amate, in particolare, qualche compositore di colonne sonore?

Sono volutamente dei pezzi evocativi di visioni, personalmente ci sono due personalità che ritengo al di sopra di tutto: Kubrick e Tarkovskij. Per Rosarita Wim Wenders e Cronenberg. Ci affascinano molto i compositori di colonne sonore italiani come Piero Umiliani e Piero Piccioni.

10) Vedendovi esibire live, ma anche su disco, ho notato che la vostra musica ingloba riferimenti alla letteratura, un gusto per lo spoken word di ispirazione teatrale e l’utilizzo di influenze musicali di vario tipo, come nella vostra ultima release. Pensate che questo fiume di codici espressivi riesca ad arrivare sempre a destinazione e a stimolare la curiosità dell’ascoltatore? E’ ancora attuale parlare di “Opera d’arte totale”?

Da Wagner a Bjork, è infinita la lista di artisti che hanno tentato di creare un’arte multimediale e multisensoriale che fosse esprimibile in un unico flusso espressivo. Noi molto più prosaicamente sentivamo l’esigenza dello spoken word come un ulteriore strumento da usare. Arrivati al nodo del “cosa dire?” l’idea di utilizzare le bellissime e incisive parole di Emily Dickinson (che sono royalty free) per frammenti, come se arrivasse un suo segnale disturbato da un’altra dimensione, ci è sembrata non male.

11) Grazie per il vostro tempo, salutate i lettori e invitateli ad acquistare il vostro nuovo lp!

Ciao e grazie a chiunque voglia dare un occhio e magari anche un orecchio al nostro lavoro!