Pubblicato da Alessandro Violante il gennaio 20, 2016
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L’attesa per il primo vero full lenght di Hante. è stata tanta, e finalmente il 12 gennaio è arrivato il tanto atteso e chiacchierato This fog that never ends (una collaborazione tra la Stellar Kinematics e la Synth Religion, label della musicista in questione), dopo l’ottimo EP Her fall and rise del 2014. Per chi ancora non conoscesse il progetto, stiamo parlando di Hélène de Thoury, una delle musiciste francesi minimal synth più note degli ultimi anni, attiva già con il progetto Minuit Machine (questo insieme ad Amandine Stioui) e, in passato, con lo storico progetto Phosphor.
Fatte le dovute premesse, la musica proposta da Hante. è un minimal synth caratterizzato dalla presenza di testi molto personali (alcuni dei quali sono in francese) e da un songwriting molto vario. Nella musica di Hante. il carattere strumentale e melodico del brano viene anteposto rispetto alle parti vocali, che per inciso qui, rispetto al precedente EP, rivestono un ruolo comunque rilevante. Quel che rende la sua musica superiore alla media del genere è un gusto sopraffino per la melodia e una produzione molto curata in cui i ritmi, sempre molto ricchi di sfumature, non pungono mai ma hanno un suono ovattato che si sposa benissimo con la proposta della Nostra. La melodia ha un suono vicino a quello orchestrale, e la voce, per quanto riconoscibile, è spesso posta in secondo piano.
Hante. è un progetto meditativo e personale, e questo si evince sin dalla cover artwork: una farfalla posta in una densa nebbia. In un certo senso This fog that never ends segue le “vicende” di Her fall and rise perchè, dopo essersi rialzata, la musicista si trova in una grey area, una nebbia costante che fa inevitabilmentre perdere le proprie sicurezze, e così Hélène si ritrova nel suo limbo personale in cui vuole coltivare il suo amore bruciante (Burning, questa insieme a Box von Dü dei Box And The Twins) e, nonostante sia decisa a farlo e mossa da una passione ardente, è sempre consapevole della caducità della vita e del destino, e in Shadow boxing mostra la sua fragilità, quella di una persona che ha paura di essere chi perderà nel fottuto gioco.
Bellissimo e chiarificatore del significato del titolo dell’album (e del mood dell’album in generale) è proprio il testo della conclusiva titletrack, uno dei brani più interessanti del lavoro: a volte possiamo sentirci ciechi – quando camminiamo attraverso la nebbia – ma abbiamo soltanto bisogno di un segno – per trovare la strada di casa. Il grigio è un facile travestimento – in questa nebbia che non finisce mai. E’ facile, per molte persone, ritrovarsi nelle parole di una musicista che, in risposta ad un amore perduto (il segno nella nebbia) sceglie un travestimento che la renda inattaccabile, ma che, allo stesso tempo, blocca in un limbo in cui prendere decisioni nette diventa difficile.
Musicalmente, che è quel che più interessa all’ascoltatore, troviamo brani piuttosto diversi nello sviluppo ma simili per i trademarks sopra citati: Bienvenue en enfer è un brano cantato in francese in cui i giochi di drum machine sono copiosi e i giri melodici completano il quadro di un brano di genere, ma perfetto e, senz’altro, molto più personale di tanti progetti troppo omologati. Tra i brani da ricordare maggiormente c’è la già citata collaborazione Burning e le veloci My destruction e Dèpendance, l’ultima delle quali caratterizzata da un approccio quasi punk e per certi versi vicina a Il n’y a qu’un Pas (quest’ultima contenuta in Her fall and rise) e la già citata titletrack, un brano che cresce pian piano lasciando molto più spazio ai synth rispetto ad una ritmica qui più vagamente marziale e frammentata. Gli altri brani sono comunque molto validi, ma dallo sviluppo più lineare, come Noir, in cui la musica e le parti vocali hanno lo stesso peso e in cui la costruzione melodica è meno articolata, per rendere il brano più facilmente fruibile all’interno di dj set specifici.
In definitiva, pur avendo cambiato parzialmente le proprie coordinate rispetto ad un EP in cui le melodie si stampavano in testa forse più facilmente (anche perchè più preponderanti rispetto a dei testi molto striminziti), This fog that never ends può essere considerato un ottimo lavoro minimal synth alla francese di grande qualità, che lancia dei segnali molto positivi, configurandosi idealmente già tra i migliori lavori in ambito minimal synth del 2016. Staremo a sentire!
Voto: 8, 5
Label: Stellar Kinematics / Synth Religion