Giacinto Scelsi: il suono puro

Pubblicato da Alessandro Violante il luglio 16, 2015
Gli strumenti di Giacinto Scesi usati per le improvvisazioni

Gli strumenti di Giacinto Scesi usati per le improvvisazioni

Comunemente accreditato come il primo esponente della dodecafonia in Italia, Giacinto Scelsi diviene, più che un superatore, colui che arriva, per vie traverse, al superamento voluto da Schönberg nel manuale d’armonia del 1911, cioè alla Klangfarbenmelodie (melodia di timbri).

In musica, il timbro è la caratteristica storicamente più sfuggente, dato che è la componente che rende possibile la determinazione dello strumento; in altri termini, è ciò che fa sì che una nota di una data altezza suoni diversamente se eseguita da una chitarra o da un violino. Per le difficoltà di sistematizzazione, la scrittura musicale tradizionale gestisce solo altezza e tempo e lascia il timbro determinato solo dallo strumento e quindi, in una certa misura, indeterminato (non formalizzato), con la conseguenza che la composizione musicale è determinazione delle altezze in un certo tempo. Cosa succederebbe se una composizione dovesse essere basata su una nota sola?

In un periodo in cui s’andava sviluppando un pensiero che avrebbe portato alla frase ad effetto di Boulez: “non m’interessa come suona, solo com’è costruito”, Scelsi adotta un metodo compositivo che parte da improvvisazioni, un paio di decenni prima dell’esplosione di tali pratiche in altri contesti, che vengono trascritte e rifinite da altri compositori. Se da un lato questo porterà a delle polemiche post-mortem sull’autorialità di un simile metodo, queste possono essere smontate notando quanto quest’approccio anticipi quello che verrà formalizzato negli approcci della musique concrète o nella produzione di Miles Davis nella fase elettrica. D’altro canto, quest’approccio pone, evidentemente, l’accento sul suono anziché sulla forma poiché, in fondo, non si può improvvisare se non con un ascolto attivo che reagisca ai suoni uditi.

Il dichiarato spiritualismo di matrice orientale dell’autore lo porta ad una progressivo asciugamento della forma ed un allentamento dalla tradizione occidentale, che trova uno dei suoi esiti più alti in Quattro pezzi per orchestra (ciascuno su una nota sola), dove ognuno dei quattro movimenti è basato sullo sviluppo di un’unica nota, evitando le strade della tonalità, dei modi e delle scale, ma seguendo la strada degli altri parametri del suono: timbro, tempo e altezza.

Legni e ottoni aprono il primo movimento, in tonalità di F, che si muove per masse volumetriche ed inviluppi di suoni passando da un quasi totale silenzio a momenti di notevole volume. Il secondo movimento, in B, è più rarefatto nella struttura e utilizza maggiormente il bordone che viene raddoppiato da un altro strumento, generando un movimento timbrico del brano. Il terzo, in Ab, sembra preconizzare alcune soluzioni di Phill Niblock, visto che è un unico lento bordone che viene prima raddoppiato e poi triplicato per sfruttare le risonanze timbriche degli strumenti. Il quarto, in A, riprende tutte le soluzioni dei precedenti movimenti per sviluppare una vera e propria melodia puramente timbrica.

In poco più di un quarto d’ora vengono esposte una serie d’intuizioni che, dallo spettralismo alla drone music, verranno sviluppati dopo che emerse l’inaridimento di un’idea di musica più legata a processi concettuali, piuttosto che all’esplorazione del suono.