Arte contemporanea oggi: Palazzi Enciclopedici e altre storie.

Pubblicato da Alessandro Violante il ottobre 28, 2013

Premessa

Al fine di inquadrare immediatamente il baricentro della digressione richiamiamo il titolo dell’ultima Biennale, la 55° edizione, chiamata il Palazzo Enciclopedico, curata da Massimiliano Gioni. Indipendentemente dal fatto che il lettore l’abbia visitata o meno, troverà uno spunto di riflessione per pensare il modo in cui l’Arte Contemporanea viene pensata oggi. Dopo decenni di sperimentazioni (e, per certi versi, i suoi estremi negli anni ’90), c’è stato un netto ritorno verso il classico, concetto da inquadrare all’interno di una tendenza generale a riaprire i ponti con un passato talvolta considerato scomodo da parte di molti artisti contemporanei dell’ultim’ora. L’ultima Biennale è un chiaro esempio di come l’idea di Palazzo Enciclopedico rappresenti un concetto soprattutto legato all’antichità, per una ragione. Il mondo dell’informatizzazione e, conseguentemente, delle arti digitali, non ha mai realmente pensato di poter immagazzinare tutto il sapere del mondo, e, se lo ha pensato, questo è stato soltanto un primigenio fenomeno ben presto svanito di fronte alla constatazione della vastità della materia artistica.

Questo però Marino Auriti, teorico del concetto di origini abruzzesi, non poteva saperlo.

 

Cos’è l’Arte Contemporanea oggi?

L’Arte Contemporanea oggi è un Palazzo Enciclopedico. Quale migliore esempio dal quale iniziare potrebbe essere l’ultima Biennale? La sua grandezza è sempre stata quella di creare e rispondere allo stesso tempo a delle emergenze degli artisti ma anche e soprattutto sociali e culturali. Questo ritorno al passato, in particolar modo alla volontà di elencare i saperi, la cultura e le arti può avere determinate cause. La prima è la volontà del raggiungimento di una forma di sicurezza nei confronti di un mondo che, a causa delle gravi crisi economiche, sta andando in rovina. Cosa fare? Creare una salda ancora di salvataggio, almeno per l’arte, nel tentativo di avere una chiara visione di quello che accade, ma questo non vuol dire fare e promuovere l’Arte Contemporanea. Le sue malattie, al contrario, risiedono proprio nella volontà di voler fissare il processo creativo, di voler categorizzare l’incategorizzabile in etichette, dimensioni, spazi e, per l’appunto, Biennali. Tornando al caso principale in oggetto, al di fuori della realizzazione curatoriale pura e semplice, delle critiche e degli applausi, cosa viene fuori nell’Arte della Contemporaneità? Una profonda stasi del sistema.

Evitando di ripetersi costantemente, basti solo osservare che il meccanismo con cui agisce la promozione artistica da parte del Sistema dell’Arte Contemporanea non ha alcun legame con quello che realmente viene prodotto nella Contemporaneità dell’universo artistico. Il problema risiede nel fatto che il visitatore spesso non conosce questo trucco ed è tentato di credere che quello che oggi vede rappresenti il futuro, o perlomeno il presente, dell’Arte nel mondo. D’altronde, il Sistema ha architettato un solido modo di costruire una coscienza artistica ancora oggi proiettata nel passato. Facciamo attenzione, in qualità di visitatori, ai lavori proposti in queste e in altre sedi. Cosa emerge? La museificazione dell’Arte distrugge l’Artista Contemporaneo in quanto Egli sa che esistono dei limiti insuperabili fintanto che Egli decida che la sua opera uscirà dalle quattro mura della sua abitazione.

D’altronde, al di fuori della bontà dei lavori prodotti, è lecito pensare che nel 2013 i migliori prodotti artistici dei paesi siano le riproposizioni di concetti che, per quanto formalmente interessanti, nulla aggiungono e nulla tolgono a quanto espresso dai grandi padri dell’arte concettuale, delle installazioni, e di tutte le altre correnti artistiche? Non sembra un pò strano anche al lettore che il massimo che un paese tecnicamente ed economicamente avanzato, nel 2013, sia una installazione site specific di Arte Concettuale? Sorge spontaneamente una domanda: è possibile che l’Arte, nell’intervallo che và dalla fase matura di Duchamp in poi non abbia prodotto nulla di davvero innovativo e che, soprattutto, a seguito della grande digitalizzazione e della disponibilità dei mezzi, stia ancora reinventando la Sua Ruota? Questo sembra un pò strano, così come sembra strano che il miglior prodotto di un paese sia una installazione panoramica che, per quanto bella, esiste tecnicamente da più di cinquant’anni ed è stata messa in discussione molte volte nella storia della tecnoarte, migliorata grazie a fior fiori di apparecchiature aventi lo scopo di rendere l’esperienza molto più realistica. Queste cose esistono ma non vengono mostrate.

Prendiamo ad esempio il caso del Padiglione dei paesi nordici. Il concetto di controllo del ciclo dell’opera attraverso l’utilizzo di interfacce naturali ha più di vent’anni ed è stato realizzato già molti anni fa, ma noi nel nostro paese non lo abbiamo mai visto e oggi vediamo qualcosa di simile, spacciato per ultimo prodotto dell’intelletto artistico.

Apriamo una ulteriore parentesi parlando dei lavori di Studio Azzurro e, in particolar modo, dell’ultimo lavoro realizzato per la Biennale. Questo poteva essere un lavoro interessante se presentato venti anni fa (e fu presentato venti anni fa sotto diverso nome e con diverse apparecchiature), ma da Tavoli del 1995 non si è mai andati realmente avanti e non si sono compiuti dei passi realmente innovativi. Questo non può essere il massimo di quello che il nostro paese riesce ad offrire dal punto di vista tecnico all’interno del panorama dell’Arte Contemporanea. Negli stessi giorni, ad esempio, Germano Celant, celeberrimo critico d’Arte, ha curato presso la Fondazione Prada la riproposizione di una celebre mostra del 1969 intitolata When attitudes become form. Bene, mi sembra che, dal punto di vista concettuale riguardante lo sviluppo dell’Arte Contemporanea, ci sia stato un grosso passo indietro tra quello che viene proposto nella presente Biennale e quello che venne proposto cinquant’anni fa a Berna.

Viene da chiedersi una domanda: cosa l’arte ha sbagliato in questi anni, cosa sta sbagliando e come può riprendere il timone in un’epoca che richiede innovazione? Nel frattempo le forme d’arte innovative vanno avanti ma nei laboratori delle università e nei centri di ricerca tecnica. Perchè lì e non nei musei e negli eventi? Perchè noi, come popolo amante dell’arte e delle sue manifestazioni, dobbiamo continuare a mangiare una minestra spacciata per caviale affermando che si tratta di un ottimo caviale in quanto questa è la risposta che il Sistema si aspetta da noi e che noi affrettiamo ad offrire?

Bisognerebbe cercare di capire dove sia il problema. Cosa si intende precisamente quando si indirizza la fonte del problema nei riguardi del Sistema? Questa entità racchiude noi, i curatori, gli artisti e le istituzioni. Non parliamo neppure di come, rispetto agli sviluppi tecnici applicati alle arti, i testi, in particolare misura quelli italiani, siano terribilmente indietro e parlino con un linguaggio tecnico memore dei primi anni ’80, facendo riferimento ad esempi di trent’anni fa probabilmente perchè gli autori non sanno che nel frattempo è sorta una nuova civiltà.

Verosimilmente il problema potrebbe essere di natura differente. Il Sistema sa ma la gente vuole essere rassicurata e, soprattutto, ha bisogno di vedere quello che già conosce (anche perchè immotivatamente critica verso tutto quello che, al contrario, non conosce), e, conseguentemente, le due parti in gioco fanno la loro partita mentre gli innovatori raccontano le loro scoperte a loro stessi, magari all’interno di qualche centro di sviluppo digitale o a talune manifestazioni in giro per l’Europa e per il Mondo, delle quali qui quasi nessuno è, si veda il caso, a conoscenza.

Questo non vuol dire affatto non amare determinata arte, al contrario. Quel che però è limitante è sapere che le mostre d’Arte Contemporanea non sono da intendere come un meccanismo di sviluppo sociale attraverso la forza propulsiva della cultura dell’individuo e il mezzo tecnico ma come una occasione per vedere questo o quel lavoro che come individuo volevi vedere da anni ma che fino a questo momento non sei riuscito ad apprezzare dal vero. In poche parole, un unico grande museo di sè stesso, quindi, in ultima istanza, un hobby come un altro e non una risorsa fondamentale.