La Fruizione nel Sistema dell’Arte Contemporanea

Pubblicato da Alessandro Violante il febbraio 18, 2013

Faccio una piccola premessa.

Per Arte Contemporanea gergalmente intendo tutto quello è stato prodotto negli ultimi decenni, di sperimentazione e non.

Per Sistema dell’Arte Contemporanea intendo il Sistema che regola le mostre monografiche e collettive, quello che e quello che non deve essere mostrato, il modo in cui i media devono enfatizzare delle cose piuttosto che altre, è in breve il modo in cui noi come individui medi vediamo l’arte nella nostra vita. E’ un po come il Matrix dei fratelli Wachowski.

Fatta questa premessa la fruizione dell’Arte Contemporanea all’interno del suo Sistema è ancora oggi un grande problema ed è un concetto fondamentale sempre dibattuto, in quanto esso si discosta particolarmente dalla sua concezione classica.

La fruizione artistica delle opere contemporanee è costruita su un rapporto two-sided che comprende l’opera e colui che la vive. Se quando parliamo di fruizione classica possiamo rifarci al concetto Benjaminiano che riguarda il valore auratico dell’esperienza, dell’hic et nunc, dell’incontro tra un lavoro e una persona che gli sta di fronte e che entra in una comunicazione mentale, non invasiva ma spirituale con ciò che gli sta di fronte e questo vale anche per l’arte chiamata moderna, l’arte contemporanea, che essa sia installativa, concettuale, virtuale, multimediale, biologica et. al., presuppone una fisicità tra i due soggetti, un rapporto che non vuole intendere interattività, non sempre, ma che piuttosto si focalizza sul concetto di vivere lo spazio che ci sta intorno e che costituisce una opera-mondo nei confronti della quale siamo chiamati a vivere.

E’ un concetto fortemente legato a quello di white cube, tra l’architettonico, l’artistico e la psicologia umana. Il Sistema dell’Arte Contemporanea però, in special modo nel nostro paese, spesso non ha le competenze necessarie, o la volontà (ci piace pensare questo), per proporre un reale dialogo tra le persone e le opere, mantenendo e applicando un concetto classico di fruizione che non è obsoleto ma è semplicemente non valido per la totalità della produzione artistica e del pensiero che gli gira intorno e del quale essa, l’arte, è pervasa e le sta alla base.

Il Sistema italiano, talvolta, adotta una serie di teorie di ispirazione classica, valevoli per le opere classiche. Un esempio su tutti è quello dell’impossibilità di registrare e fotografare questi lavori. Poichè, nella maggior parte dei casi, queste pratiche non provocano un logoramento delle stesse, esse non hanno senso di esistere. E’ avvenuto di recente ad una mostra monografica su Nam June Paik, la prima dopo alcuni anni di assenza, così come accade in molte altre occasioni. Un altro esempio è quello che riguarda il vietato toccare applicato ad opere che nascono come interattive ma alle quali l’interazione da parte dell’utente viene negata. Tuttavia la conoscenza della fruizione contemporanea richiede uno studio approfondito dei movimenti, degli artisti e dei lavori, che non è pratica scontata da parte di chi organizza, a qualsiasi livello, mostre di qualunque tipo.

Un altro tassello, del quale si è già parlato in altri interventi ma che ora vuole essere ripreso, è quello della digitalizzazione dell’arte, in particolar modo delle arti digitali ma dell’arte contemporanea nella sua totalità, così come del resto anche di quella classica. Il principio di digitalizzazione crea una nuova tipologia di fruizione, la ricrea mediando il rapporto con i lavori attaverso il monitor di un computer, monitor che funge, in alcuni casi come in quello della video arte, da oggetto meta-mediale, ovvero da oggetto che incarna sè stesso ad un nuovo livello di mediazione. Questa nuova tipologia di fruzione implica un guadagno sul piano della conoscenza, da parte di tutti, dei lavori degli artisti, dall’altro distrugge le sinapsi comunicative che vengono utilizzate nel momento in cui si vive il white cube che sia museale o spaziale.

L’interazione diviene una interazione nell’interazione via tastiera, le opere vengono viste dalla propria cameretta e soprattutto non è possibile interagire nè immergersi, si pensi alle arti interattive in generale e alla virtual art in particolare. Quella che ne deriva non è una forma di comunicazione con il lavoro ma è tale nei confronti della macchina che stiamo usando. Ciò che cambia è soltanto il contenuto di quello che vediamo. Il caso della pubblicazione nei cd e nei dvd di opere da parte degli stessi Enti e Istituzioni Museali ha facilitato questo mutamento ma ha anche ucciso in gran parte il forte valore che l’arte possiede, e questo valore risiede nella testa e nella mente di colui che si relaziona con l’arte contemporanea.

Ne consegue che la divulgazione di questi lavori e la loro trasmissione viene influenzata fortemente da questo sistema, in quanto, all’interno dei corsi universitari e non la trasmissione del sapere sulle arti viene sempre più espressa attraverso mezzi di comunicazione come youtube o i dvd. Questo però implica due problemi fondamentali, che oggi riguardano la maggior parte delle forme artistiche. Si potrebbe riassumere questo concetto con quello della distruzione temporale dell’esperienza. La visione di frammenti da youtube implica una dilatazione arbitraria dei tempi di visione dettata dagli spezzoni mostrati, i quali non rispecchiano il modo in cui una opera viene creata ed il contesto per il quale essa viene pensata.

Questo rende incomprensibile la comprensione del lavoro allo stesso modo in cui esso lo è se, nella musica classica, si ascolta un solo movimento di una sinfonia o, ancor peggio, il suo motivo isolato dal contesto nel quale si trova. Questa dilatazione che và ai danni della comprensione è la nuova forma di fruizione. E’ possibile in pochi giorni aver visto tutti i lavori dell’arte contemporanea e di quella classica, così come ascoltare musica passando tra un brano e l’altro, e così via. Ma questa pratica genera una incomprensione che và contro l’arte, si muove contro di essa. Eppure è il nostro mondo. La dilatazione implica la distruzione temporale in quanto uno dei tasselli principali della fruizione è il tempo.

Lo stesso discorso avviene nei confronti di quegli spezzoni o di quei dvd che mostrano lavori interattivi nei quali vengono ripresi visitatori intenti ad interagire con l’opera provocandone reazioni, ma questo ostacola la comprensione in quanto la fruizione non è altro che un dialogo tra due soggetti, un dialogo continuo che viene regolato da un tempo senza tempo, che richiede riflessione con noi stessi e con l’Io del lavoro che abbiamo di fronte o nel quale siamo inseriti. L’interazione non è una questione di I/O, input/output, azione e reazione fine a sè stessa.

E’ un rapporto mentale, personale, e poi fisico, tra noi e le interfacce nelle quali viviamo. Un esempio di queste è il mondo, che è l’interfaccia nella quale viviamo tutti i giorni. Le opere d’arte contemporanee rappresentano spesso esse stesse delle interfacce a sè, dei mondi a sè, nei quali siamo chiamati a vivere per un tempo più o meno lungo.

Ed ecco tornare al concetto di hic et nunc. In fondo Benjamin non aveva tutti i torti, ma non aveva neanche tutti i meriti. Dalla nascita della fotografia ad oggi, all’era dei computer sempre più potenti, sempre più performanti ma soprattutto all’era dei social network e delle piattaforme di condivisione web 2.0 e dei database sempre più grandi e onnicomprensivi, la visione di una fruizione meta-mediale si è andata delineando sempre più fortemente fino al momento storico nel quale oggi viviamo.

Il Sistema dell’Arte Contemporanea gioca, in questo processo, un ruolo di modernizzazione. La nascita e la crescita dei musei virtuali, delle pagine di Google et. al. fanno sì che venga instillato nelle persone il culto della fruizione digitale, così strano, così diverso da quello per il quale la maggior parte delle arti, e di conseguenza i suoi fenomeni contemporanei, sono state create. Qual’è la soluzione? Non si conosce, è una questione di punti di vista.

Una possibile soluzione potrebbe stare, come spesso sta, nel mezzo. Da un lato la diffusione digitale aiuta nella comprensione, da parte di tutti, dell’esistenza di determinati artisti, movimenti ed opere (e su questo ci sarebbe molto da dire, in quanto il Sistema regola anche questo), dall’altro la visione e la fruzione diretta, l’hic et nunc è il momento della reale comprensione, è forse l’unico momento in cui si può parlare face to face con il lavoro che abbiamo di fronte e relazionarci pienamente con esso, che si interagisca, che non si interagisca, che ci si immerga, che non ci si immerga.